Ben Tallchief finì di bere, sbadigliò, si grattò la gola, sbadigliò di nuovo e si levò pigramente in piedi. È ora di mettersi in moto,si disse. Spero,pensò, di trovare il frullatore in questo buio.
Uscì all'aperto, sentì sotto i piedi il sentiero ghiaioso, prese a muoversi nella direzione dove gli sembrava si trovasse il frullatore. Perché non c'è illuminazione in giro?,si chiese, e poi comprese che gli altri erano troppo preoccupati per pensare di accendere le luci. La rottura del trasmettitore aveva reso distratti tutti quanti, il che era più che giusto. Perché non sono la dentro?,si chiese. A fare la mia parte nel gruppo. Ma, comunque, il gruppo non funzionava affatto come gruppo; era solo un'accozzaglia di individui egocentrici che si scontravano reciprocamente. Con gente del genere gli sembrava di non avere radici in comune, nessun punto di contatto. Si sentiva nomade e bisognoso d'esercizio; anche adesso qualcosa lo spingeva a muoversi: lo aveva spinto a uscire dalla sala delle riunioni, a tornare nel suo appartamento, e ora lo costringeva a brancolare nel buio, in cerca del frullatore.
Una piccola zona di oscurità si mosse davanti a lui, e, stagliata contro il cielo non troppo buio, apparve una figura. «Tallchief?»
«Sì?» rispose. «Chi è?» Cercò di vedere qualcosa.
«Morley. Mi hanno mandato a cercarla. Vogliono che lei componga la preghiera, visto che un paio di giorni fa ha avuto tanta fortuna.»
«Niente più preghiere per me,» disse Tallchief, e strinse i denti per l'amarezza. «Guardi dove mi ha portato l'ultima preghiera... inchiodato qui con tutti voi. Non si offenda, è solo che...» Gesticolò. «È stato un gesto crudele e inumano esaudire la mia preghiera, considerando la situazione di Delmak-O. E la Divinità doveva conoscerla.»
«Capisco i suoi sentimenti,» disse Morley.
«Perché non la scrive lei? Ha incontrato da poco Colui-Che-Cammina-In-Terra; sarebbe più giusto servirsi di lei.»
«Non ho nessuna abilità per le preghiere. Non sono stato io a invocare l'apparizione; era solo un'idea della Divinità.»
«Beve qualcosa?» chiese Tallchief. «E poi magari mi può dare una mano coi bagagli, aiutarmi a trasferirli all'appartamento e cose del genere.»
«Devo scaricare anch'io.»
«Questo significa non avere il minimo senso di collaborazione.»
«Se lei mi avesse aiutato.»
Tallchief disse: «Ci vediamo più tardi.» Riprese a camminare, brancolando a caso nel buio, fino a che non andò a sbattere contro una forma metallica. Un frullatore. Aveva raggiunto il campo di atterraggio; adesso doveva trovare il suo frullatore.
Si guardò alle spalle. Morley era scomparso; era solo.
Perché quel tipo non ha voluto aiutarmi? , si chiese. Avrò bisogno di un'altra persona, con pacchi così grossi. Vediamo,rifletté. Se riesco ad accendere le luci di atterraggio del frullatore, almeno ci vedrò un po'. Agguantò il volano che chiudeva il portello, lo fece girare, spalancò lo sportello. Automaticamente si accesero le luci di posizione; adesso ci vedeva. Forse porterò via solo i vestiti, gli articoli da bagno e la mia copia del Libro, decise. Leggerò il Libro finché non mi verrà sonno. Sono stanco; pilotare il frullatore fin qui mi ha ridotto uno straccio. E anche la storia del trasmettitore mi ha buttato giù. Maledetta scarogna.
Perché gli ho chiesto di aiutarmi? , si chiese. Non lo conosco, e lui mi conosce appena. Scaricare la roba è un problema mio. Anche lui avrà i suoi guai.
Raccolse una scatola di libri, cominciò ad allontanarsi dall'area di parcheggio dei frullatori in direzione degli appartamenti, o almeno lo sperava. Devo trovare una torcia elettrica,decise mentre trotterellava via con un certo impaccio. Al diavolo, ho dimenticato di spegnere le luci del frullatore. Sta andando tutto nel verso sbagliato,comprese. Potrei tornare indietro e unirmi agli altri. Oppure potrei mettere a posto questa scatola e poi bermi un bicchierino, e forse per allora gli altri saranno usciti dalla sala di riunione e mi daranno una mano. Sbuffando e sudando, imboccò il sentiero ghiaioso, arrivò in vista delle grigie, inerti strutture architettoniche che costituivano i loro alloggi. Niente luci. Erano ancora tutti quanti impegnati a mettere assieme una preghiera decente.
Pensandoci, gli venne da ridere. Probabilmente ci metteranno tutta la notte,decise, e rise di nuovo, questa volta con furioso disgusto.
Trovò il suo appartamento, in virtù del fatto che la porta era aperta. Dopo essere entrato, adagiò sul pavimento la scatola dei libri, sospirò, si rizzò in piedi, accese tutte le luci... Fermandosi in quel punto, esaminò la stanzetta che conteneva appena un armadio e il letto. Il letto non gli piaceva: sembrava piccolo e scomodo. «Cristo,» disse, e sedette sulle coperte. Tolse diversi libri dalla scatola, frugò fino a che non riuscì a trovare la bottiglia di scotch Peter Dawson; levò il tappo e bevve con la massima calma dalla bottiglia.
Attraverso la porta spalancata scrutò il cielo notturno: vide che le stelle si annebbiavano per i disturbi atmosferici, e poi tornavano a splendere un attimo. Certo che è difficile,pensò, vedere le stelle con la rifrazione di un'atmosfera planetaria.
Una grande forma grigia occupò d'improvviso la soglia dell'appartamento, offuscando le stelle.
Stringeva un tubo e lo puntava contro di lui. Vide che il tubo aveva un mirino telescopico e un grilletto. Chi era? Cos'era? Si tese in avanti per vedere meglio, e poi udì un'esplosione sorda. La forma grigia scomparve, e le stelle tornarono a splendere. Ma adesso erano cambiate. Vide due stelle scontrarsi l'una con l'altra e dare vita a una nova; la nova s'incendiò d'un bagliore accecante e poi, mentre lui continuava a guardarla, cominciò a spegnersi. La vide trasformarsi, da quell'anello di fuoco che era, in un modesto nucleo di minerale inerte, e poi la vide spegnersi nell'oscurità. Altre stelle si spensero. Tallchief vedeva la forza dell'entropia, i poteri del Distruttore Formale, ridurre le stelle a semplici bagliori agonizzanti e poi annegarle in un silenzio come di sabbia. Un manto di energia termica gravava uniformemente sul mondo, su quello strano e minuscolo mondo che non gli offriva né amore né scopi.
Sta morendo , comprese. L'universo. Il manto di calore si stemperò fino a diventare una sottilissima barriera, niente di più; il cielo brillò stancamente e poi cominciò a tremolare. Anche l'uniforme energia termica stava agonizzando. Com'è strano e maledettamente spaventoso,pensò. Si levò in piedi, fece un passo in direzione della porta.
Morì così, in piedi.
Lo trovarono un'ora più tardi. Seth Morley si fermò con sua moglie all'estremità del gruppo di gente riunito nella stanzetta di Tallchief e disse tra sé: Per impedirgli di darci una mano a scrivere la preghiera.
«La stessa forza che ha messo fuori uso il trasmettitore,» disse Ignatz Thugg. «Lo sapevano; sapevano che se lui avesse composto la preghiera ce l'avremmo fatta. Anche senza il trasmettitore.» Aveva un aspetto grigio e impaurito. L'avevano tutti quanti, notò Seth Morley. I loro visi, nella luce della stanza, sembravano immobili, pietrificati. Come,pensò, idoli vecchi di migliaia di anni.
Il tempo , pensò, si sta chiudendo attorno a noi. E come se per tutti noi il futuro fosse scomparso. Non solo per Tallchief.
«Babble, puoi fare l'autopsia?» chiese Betty Jo Berm.
«Parzialmente, sì.» Il dottor Babble s'era adagiato a fianco del cadavere di Tallchief, e lo toccava qua e là. «Niente tracce di sangue. Nessuna ferita visibile. La morte potrebbe essere naturale, lo capite benissimo; può anche darsi che fosse debole di cuore o, per esempio, potrebbe essere stato ucciso da un colpo di pistola termica sparato a distanza ravvicinata... ma se così fosse, troverò i segni della bruciatura.» Slacciò il colletto di Tallchief, si piegò a esaminargli il collo. «O potrebbe essere stato uno di noi,» disse. «Non dimentichiamolo.»
«Sono stati loro,» disse Maggie Walsh.
«Forse,» disse Babble. «Farò quel che posso.» Fece un cenno a Thugg e Wade Frazer e Glen Belsnor. «Aiutatemi a trasportarlo in infermeria; voglio cominciare subito l'autopsia.»
«Non lo conoscevamo neanche,» disse Mary.
«Credo di essere stato io a vederlo per ultimo,» disse Seth Morley. «Voleva trasportare le sue cose dal frullatore all'appartamento. Gli ho detto che gli avrei dato una mano più tardi, quando avevo tempo. Mi sembrava che fosse giù di morale; ho cercato di dirgli che avevamo bisogno di lui per scrivere la preghiera, ma pareva che non gl'interessasse per niente. Voleva solo trasbordare le sue cose.» Si sentiva profondamente in colpa. Forse se lo avessi aiutato sarebbe ancora vivo,disse tra sé. Forse Babble ha ragione; forse è stato un attacco cardiaco, causato dal peso che ha dovuto trasportare. Lanciò uno sguardo alla scatola di libri, chiedendosi se la colpa era della scatola... della scatola e del suo rifiuto d'aiutarlo. Anche se me l'ha chiesto, non gli ho dato una mano,pensò.
«Non ha per caso notato qualche sintomo di un atteggiamento suicida, vero?» gli chiese il dottor Babble.
«No.»
«Molto strano,» disse Babble. Scosse lentamente il capo. «D'accordo; portiamolo in infermeria.»
CAPITOLO SESTO
I quattro uomini trasportarono il corpo di Tallchief attraverso l'oscurità della notte. Li sfiorò un vento freddo, e loro rabbrividirono; si strinsero l'uno all'altro per difendersi dalla presenza ostile di Delmak-O, la presenza ostile che aveva ucciso Ben Tallchief.
Babble accese luci qua e là. Alla fine avevano deposto il cadavere di Tallchief sull'alto tavolo metallico.
«Credo che dovremmo ritirarci nei nostri appartamenti privati e fermarci lì finché il dottor Babble non ha finito l'autopsia,» disse Susie Smart, rabbrividendo.
Wade Frazer s'intromise: «È meglio che restiamo uniti, almeno finché il dottor Babble non ci comunica le sue conclusioni. E penso anche che viste le circostanze imprevedibili, visto questo tremendo fatto che sconvolge le nostre vite, dobbiamo scegliere immediatamente un capo, un uomo forte che riesca a tenerci assieme come un gruppo, perché in realtà adesso non siamo affatto un gruppo, ma dovremmo esserlo, dobbiamo esserlo. Tutti d'accordo?»
Dopo una pausa, Glen Belsnor disse: «Okay.»
«Possiamo votare,» disse Betty Jo Berm. «In modo democratico. Ma penso che dobbiamo stare attenti.» Si sforzò di esprimersi il meglio possibile. «Non dobbiamo lasciare troppo potere a un capo. E dovremmo essere in grado di destituirlo dalla carica quando e se non ci sembri più adatto; in questo caso si dovrebbe votare di nuovo, decidere insieme se toglierli o no l'incarico, ed eventualmente eleggere qualcun altro. Ma nel periodo in cui ci farà da capo dovremo obbedirgli, e non vogliamo neanche che sia troppo debole. Se è troppo debole le cose andranno esattamente come vanno adesso: saremo un semplice cumulo d'individui che non riescono a combinare niente assieme, neanche di fronte alla morte.»
«Allora torniamo alla sala di riunione,» disse Tony Dunkelwelt, «invece che agli appartamenti. Così possiamo cominciare subito a raccogliere i voti. Voglio dire, quella cosa o quelle persone potrebbero uccidere di nuovo prima che abbiamo un capo; non vogliamo attendere.»
In gruppo abbandonarono l'infermeria del dottor Babble, tornarono alla sala di riunione. La rice-trasmittente era ancora accesa; tutti, entrando, sentirono il monotono, basso ronzio dell'apparecchio.
«Così grande,» disse Maggie Walsh, scrutando il trasmettitore. «E così inutile.»
«Crede che dovremmo armarci?» chiese Bert Kosler, aggrappandosi al braccio di Morley. «Se c'è in giro qualcuno che vuole ucciderci tutti quanti...»
«Aspettiamo i risultati dell'autopsia di Babble,» rispose Seth Morley.
Sedendosi, Wade Frazer disse in tono neutro: «Voteremo per alzata di mano. Sedetevi tutti e state calmi e io leggerò i nostri nomi e terrò il conto dei voti. Va bene per tutti?» La sua voce aveva un sottofondo ironico, che a Seth Morley non piacque.
Ignatz Thugg disse: «Non ce la farai, Frazer. Anche se lo desideri da morire. Nessuno di quelli che si trovano in questa stanza permetterà che sia un tipo come te a dirci quel che dobbiamo fare.» Si adagiò in poltrona, incrociò le gambe, estrasse una sigaretta dal taschino della giacca.
Mentre Wade Frazer leggeva i nomi e teneva conto dei voti diverse persone prendevano appunti. Non si fidano dell'onestà di Frazer,comprese Seth Morley. Non hanno tutti i torti.
«Il numero maggiore di voti,» disse Frazer, dopo aver completato la lettura dei nomi, «va a Glen Belsnor.» Chiuse il quaderno su cui aveva scritto con un gran ghigno sardonico... come se, pensò Morley, lo psicologo stesse dicendo: Fatevi pure fregare. Le vite sono vostre, se volete buttarle via. Ma a lui sembrava che Belsnor fosse una buona scelta; sulla base della sua limitatissima esperienza, anche lui aveva votato per il tecnico elettronico. Si sentiva soddisfatto, anche se Frazer era scontento. E dai loro gesti di sollievo indovinò che anche quasi tutti gli altri erano soddisfatti.
«Mentre aspettiamo le conclusioni di Babble,» disse Maggie Walsh, «forse dovremmo pregare in gruppo che la psiche del signor Tallchief sia assunta all'immortalità.»
«Leggi dal libro di Specktowsky,» disse Betty Jo Berm. Si frugo in tasca, tirò fuori la sua copia del Libro, lo passò a Maggie Walsh. «Leggi a pagina settanta, dove si parla dell'Intercessore. Non è l'Intercessore che vogliamo interpellare?»
A memoria, Maggie Walsh intonò le parole che tutti loro conoscevano. «'Con la Sua comparsa nella storia della creazione, l'Intercessore offrì Se Stesso al sacrificio, in modo da annullare parzialmente la Maledizione. Soddisfatta della redenzione delle Sue creature ottenuta con questa manifestazione di Se Stessa, soddisfatta di questo segno della Sua grande, ma parziale, vittoria, la Divinità 'morì' e poi Si manifestò di nuovo a indicare che aveva sconfitto la Maledizione e quindi la morte, e, fatto ciò, risalì i cerchi concentrici, tornando fino a Dio Stesso.' E aggiungerò un'altra parte adatta alla situazione. 'Il prossimo e ultimo periodo è il Giorno della Resa dei Conti, quando il paradiso si distenderà come un rotolo di pergamena e ogni cosa vivente (e quindi tutte le creature, tanto l'uomo senziente quanto le creature extraterrestri simili all'uomo) sarà riconciliata con la Divinità originaria, della cui unità di vita è nato tutto (con la possibile eccezione del Distruttore Formale)'.» Fece una pausa per un attimo e poi disse: «Ripetete con me, tutti quanti, a voce alta o col pensiero».
Alzarono i visi e guardarono in alto, secondo il rito ufficiale. Perché la Divinità potesse udirli più facilmente.
«Non conoscevamo troppo bene il signor Tallchief.»
Ripeterono tutti: «Non conoscevamo troppo bene il signor Tallchief.»
«Ma sembrava un uomo a posto.»
Ripeterono tutti: «Ma sembrava un uomo a posto.»
Maggie esitò, rifletté, quindi disse: «Rimuovilo dal tempo e rendilo così immortale.»
«Rimuovilo dal tempo e rendilo così immortale.»
«Riporta la sua forma a quella che possedeva prima che il Distruttore Formale s'accanisse su di lui.»
Ripeterono tutti: «Riporta la sua forma a quella...» S'interruppero. Il dottor Milton Babble era entrato in sala di riunione, tutto arruffato.
«Dobbiamo finire la preghiera,» disse Maggie.
«Potete finirla un'altra volta,» disse il dottor Babble. «Sono riuscito a determinare la causa della morte.» Consultò diversi fogli di carta che aveva portato con sé. «Causa del decesso: vasta infiammazione delle vie bronchiali, dovuta a un'innaturale dose d'istamina nel sangue, che ha avuto come conseguenza il restringimento della trachea; la causa precisa della morte è il soffocamento verificatosi come reazione alla presenza dell'elemento estraneo nel sangue. Deve essere stato punto da un insetto, oppure ha urtato contro un albero mentre scaricava il suo frullatore. Un insetto o una pianta che contenevano una sostanza a cui Tallchief era estremamente allergico. Ricordate com'è stata male Susie Smart la prima settimana che si trovava qui, quando s'è punta con quelle specie d'ortiche? E Kosler.» Fece un cenno all'indirizzo del vecchio guardiano. «Se non fosse venuto subito a farsi vedere da me, sarebbe morto anche lui. Con Tallchief la situazione era troppo sfavorevole: è uscito da solo, di notte, e non c'era in giro nessuno che potesse accorgersi di quello che gli succedeva. È morto solo, ma se fossimo stati con lui potevamo salvarlo.»
Dopo un attimo di silenzio Roberta Rockingham, che stava seduta con una grande coperta sul grembo, disse: «Be', credo che sia molto meglio di tutte le idee che ci eravamo messi in testa. Sembrerebbe che nessuno stia cercando d'ammazzarci... il che è davvero meraviglioso, non trovate?» Gettò un'occhiata in giro, per vedere se qualcuno degli altri parlava.
«Evidentemente,» disse senza troppa convinzione Wade Frazer, perso in una smorfia.
«Babble,» disse Ignatz Thugg, «abbiamo votato senza di te.»
«Buon Dio,» disse Betty Jo Berm. «È proprio vero. Dovremo rifare la votazione.»
«Avete scelto come capo uno di noi?» chiese Babble. «Impedendomi di esercitare i miei precisi diritti? È per chi avete deciso?»
«Per me,» disse Glen Belsnor.
Babble si consultò con se stesso. «Per quanto mi riguarda sono d'accordo,» disse finalmente. «Accetto Glen come capo.»
«Ha vinto con tre voti di vantaggio,» disse Susie Smart.
Babble annuì. «Comunque sono soddisfatto.»
Seth Morley si avvicinò a Babble, gli si mise di fronte e disse: «È certo che fosse proprio quella la causa del decesso?»
«Senza dubbio. Coi miei strumenti posso determinare...»
«Ha trovato sul corpo il segno della puntura dell'insetto?»
«Effettivamente no,» rispose Babble.
«Un punto che rechi le tracce del graffio contro l'albero?»
«No,» disse Babble, «ma in una diagnosi del genere questo non è un elemento di grande importanza. Qui ci sono certi insetti così piccoli che una loro puntura risulterebbe invisibile senza l'analisi al microscopio, e l'analisi al microscopio richiederebbe giorni interi.»
«Ma tu ti senti a posto,» disse Belsnor, alzandosi a sua volta. Teneva le braccia incrociate e oscillava avanti e indietro, appoggiandosi sui talloni.
«Assolutamente.» Babble annuì con forza.
«Lo sai cosa vorrebbe dire se ti sbagliassi.»
«Come? Spiegati.»
«Oh Cristo, Babble,» disse Susie Smart, «è ovvio. Se qualcuno o qualcosa ha ucciso deliberatamente, anche noi ci troviamo in pericolo, forse. Ma se è stato un insetto a pungerlo...»
«È proprio così,» disse Babble. «Lo ha punto un insetto.» Le sue orecchie si erano accese di un rosso vivo per l'improvvisa, testarda rabbia. «Credete che sia la mia prima autopsia? Che non sia capace di adoperare gli strumenti per un'analisi del genere, quando non faccio altro da anni?» Posò gli occhi su Susie Smart. «Miss Dumb,» disse.
«Andiamo, Babble,» disse Tony Dunkelwelt.
«Per te sono il dottor Babble, ragazzo,» disse Babble.
Nulla è cambiato , disse tra sé Seth Morley. Siamo quello che eravamo prima, un'accozzaglia di dodici persone. E questo potrebbe distruggerci. Mettere fine per sempre alle nostre vite incomunicabili.
«Mi sento proprio sollevata,» disse Susie Smart, avvicinandosi a Morley e a sua moglie. «Mi sembrava che stessimo diventando paranoici; credevamo che qualcuno ce l'avesse con noi, che volessero ucciderci.»
Pensando a Ben Tallchief, e all'ultimo incontro che aveva avuto con lui, Morley non riusciva a provare le stesse sensazioni di Susie Smart. «È morto un uomo,» le disse.
«Lo conoscevo appena. In realtà non lo conoscevo affatto.»
«Vero,» disse Morley. Forse è solo perché mi sento così in colpa. «Forse sono stato io,» le disse.
«È stato un insetto,» ribatté Mary.
«Possiamo finire la preghiera, adesso?» chiese Maggie Walsh.
Seth Morley le disse: «Com'è che abbiamo bisogno di far salire di ottantamila chilometri al disopra della superficie una preghiera d'aiuto, e invece una preghiera del genere si può fare senza strumenti elettronici?» Conosco già la risposta,disse tra sé. Questa preghiera... non ci importa sul serio che venga ascoltata. È soltanto una cerimonia, questa preghiera. L'altra era diversa. L'altra volta avevamo bisogno di qualcosa per noi, non per Tallchief. Il pensiero lo rese più depresso che mai. «Ci vediamo più tardi,» disse a Mary. «Vado ad aprire le scatole che abbiamo scaricato dal frullatore.»
«Ma non avvicinarti ai frullatori,» lo mise in guardia Mary. «Fino a domani; fino a che non avremo scoperto la pianta o l'insetto...»
«Non andrò fuori,» concesse Morley. «Tornerò direttamente all'appartamento.» Uscì dalla sala di riunione, si trovò fra gli edifici della colonia. Un momento dopo saliva le scale che portavano agli appartamenti del gruppo.
Chiederò risposta al Libro , disse Seth Morley tra sé. Frugò in diverse scatole e alla fine rintracciò la copia di Come Sono Risorto da Morte nel Mio Tempo Libero e Come Potete Farlo Anche Voi. Sedette, appoggiò il Libro in grembo, vi depose sopra entrambe le mani, chiuse gli occhi, alzò il viso verso l'alto soffitto e chiese: «Chi o cosa ha ucciso Ben Tallchief?»
Quindi, a occhi chiusi, aprì il Libro a caso, adagiò il dito su un punto preciso, e aprì gli occhi.
Il dito appoggiava su: il Distruttore Formale.
Questo non mi dice molto , rifletté. Tutte le morti sono il risultato di un deterioramento della forma, dovuto all'attività del Distruttore Formale.
Eppure la cosa lo spaventava.
Non sembra che alluda a un insetto o una pianta , pensò immediatamente. Sembra qualcosa di molto diverso.
Udì un tap-tap alla porta.
Alzandosi stancamente, si mosse con lentezza verso la porta; la tenne chiusa, sollevò le tende che coprivano la piccola finestra, e scrutò nell'oscurità notturna. Qualcuno era fermo sulla veranda, una persona piccola, coi capelli lunghi, il maglione attillato, il reggiseno da capogiro, la sottana corta, i piedi nudi. Susie Smart viene a rendere visita,disse tra sé, e spalancò la porta.
«Salve,» disse lei, con vivacità, sorridendogli. «Posso entrare a fare due chiacchiere?»
La fece accomodare, le mostrò il Libro. «Ho chiesto cosa o chi ha ucciso Tallchief.»
«Cosa ha risposto?» Susie sedette, incrociò le gambe nude e si tese in avanti per vedere, mentre lui le indicava col dito la risposta del Libro. «Il Distruttore Formale,» disse lei tranquillamente. «Ma è sempre il Distruttore Formale.»
«Eppure credo che significhi qualcosa.»
«Che non è stato un insetto?»
Lui annuì.
«Ha qualcosa da bere o da mangiare?» chiese Susie. «Qualche dolce?»
«Il Distruttore Formale,» disse lui, «è là fuori.»
«Lei mi spaventa.»
«Sì,» disse lui. «È quello che voglio. Dobbiamo lanciare una preghiera da questo pianeta, farla arrivare al collegamento radio. Non sopravvivremo, se non riceviamo aiuto.»
«Colui-Che-Cammina-In-Terra viene senza bisogno d'una preghiera,» disse Susie.
«Ho qualche cioccolatino al liquore,» disse Morley. «Prenda uno di quelli.» Frugò in una delle borsette di Mary, trovò il pacchetto, glielo tese.
«Grazie,» disse lei, togliendo la carta a uno dei cioccolatini.
Morley disse: «Penso che siamo condannati.»
«Siamo sempre condannati. È l'essenza della vita.»
«Condannati adesso, subito. Non in senso astratto... Condannati come eravamo condannati Mary e io quando ho scelto il Pollo Morboso. Mors certa, hora incerta; c'è una grande differenza tra il sapere che si deve morire in generale, e il sapere che si deve morire prima della fine del mese.»
«Sua moglie è molto attraente.»
Lui sospirò.
«Da quanto tempo siete sposati, voi due?» Susie lo fissò intensamente.
«Otto anni,» le rispose.
Susie Smart si levò frettolosamente in piedi. «Venga un attimo da me a vedere come possono diventare deliziose queste stanze, mettendole a posto con un po' di gusto. Avanti; qui mi sento depressa.» Gli afferrò la mano come una ragazzina, e lui si trovò a seguirla.
Oltrepassarono quasi danzando la veranda, sfiorarono diverse porte e giunsero infine all'appartamento di Susie. La porta era chiusa; lei l'aprì, spingendolo in un ambiente caldo e luminoso. Gli aveva detto la verità: sembrava proprio una stanza deliziosa. Saremo capaci di fare anche noi come lei?,si chiese Morley guardandosi attorno, studiando le fotografie appese ai muri, l'intreccio dei tessuti, e le molte, innumerevoli scatole e pentole da cui uscivano bocciuoli multicolori che abbagliavano l'occhio.
«Delizioso,» le disse.
Susie richiuse la porta. «Non sa dire altro? Mi ci è voluto un mese per ottenere questo risultato.»
«È lei che ha usato il termine 'delizioso', non io.»
Lei rise. «Io posso chiamarlo 'delizioso', ma dato che lei è un ospite deve darci più sotto coi complimenti.»
«D'accordo,» disse lui, «è fantastico.»
«Così va meglio.» Susie sedette in una poltrona col dorso di tela nera, proprio di fronte a lui, si appoggiò all'indietro, intrecciò le mani, poi concentrò la sua attenzione su Morley. «Sto aspettando,» gli disse.
«Aspettando cosa?»
«Che lei mi faccia delle proposte.»
«E perché dovrei fargliele?»
Susie disse: «Sono la prostituta della colonia. Lei dovrebbe morire di priapismo per colpa mia. Non gliel'hanno detto?»
«Sono arrivato da poche ore,» le fece notare.
«Ma qualcuno deve avergliene parlato.»
«Quando qualcuno me ne parlerà,» disse lui, «gli tirerò un pugno sul naso.»
«Ma è vero.»
«Perché?» chiese lui.
«Il dottor Babble mi ha spiegato che si tratta di una turba diencefalica nel mio cervello.»
Lui disse: «Quel Babble. Sa cosa ha detto del mio incontro con Colui-Che-Cammina-In-Terra? Ha detto che buona parte di ciò che raccontavo era falso.»
«Il dottor Babble è un tantino malizioso e dispettoso. Gli piace sminuire tutto e tutti.»
«Se lo conosce così tanto,» disse Seth Morley, «dovrebbe rendersi conto che non gli deve prestare attenzione.»
«Mi ha solo spiegato perché sono fatta così. E io sono fatta così. Ho dormito con tutti gli uomini della colonia, a parte quel Wade Frazer.» Scosse il capo, prese un'espressione disgustata. «È orribile,» disse.
Incuriosito, lui le chiese: «E Frazer cosa dice di lei? Dopo tutto, è uno psicologo. O pretende di esserlo.»
«Dice che...» Susie si mise a riflettere, fissando pensosamente il soffitto della stanza, mordicchiandosi automaticamente il labbro inferiore. «Secondo lui cerco l'archetipo del grande padre del mondo. E quello che direbbe Jung. Lei sa qualcosa di Jung?»
«Sì,» rispose lui, anche se in realtà ne conosceva soltanto a stento il nome; Jung, gli avevano raccontato, aveva da molti punti di vista gettato le basi per una riconciliazione fra gli intellettuali e la religione, ma a quel punto la scienza di Morley si arrestava. «Capisco,» le disse.
«Jung credeva che i nostri atteggiamenti nei confronti della madre e del padre fossero quello che sono perché i genitori incarnano certi archetipi maschili e femminili. Per esempio, c'è il cattivo padre del mondo e il buon padre del mondo e il padre distruttore del mondo, e via dicendo... e lo stesso vale per le donne. Mia madre era la cattiva madre del mondo, sicché tutte le mie energie psichiche si sono rivolte al padre.»
«Hmm,» disse lui. D'improvviso, si era messo a pensare a Mary. Non che ne avesse paura, ma cosa avrebbe pensato quando fosse tornata all'appartamento e non l'avesse trovato? E se poi, Dio non voglia, lo scopriva con Susie Dumb, la prostituta ufficiale della colonia?
Susie chiese: «Lei crede che l'atto sessuale renda impura una persona?»
«A volte,» rispose lui con aria meditabonda, sempre preso dal pensiero di sua moglie. Il cuore gli sbuffava come un mantice, sentiva l'accelerazione dei battiti. «Specktowsky non ne parla troppo chiaramente nel Libro,» borbottò.
«Farà una passeggiata con me,» disse Susie.
«Adesso? Una passeggiata? Dove? Perché?»
«Non adesso. Domani, quando fa giorno. La porterò fuori della colonia, a vedere il vero Delmak-O. Dove stanno le cose strane, i movimenti che s'intravedono con la punta dell'occhio...e il Palazzo.»
«Mi piacerebbe vedere il Palazzo,» disse lui, sincero.
Improvvisamente lei si alzò in piedi. «Meglio tornare al suo appartamento, signor Seth Morley,» gli disse.
«Perché?» Anche lui confuso, si levò in piedi.
«Perché se lei si ferma qui la sua attraente moglie ci troverà e creerà il caos e aprirà la strada al Distruttore Formale, che secondo lei si trova là fuori, e saremo tutti distrutti.» Rise, mettendo in mostra i suoi denti candidi, perfetti.
«Può venire anche Mary a fare la passeggiata?» le chiese.
«No.» Lei scosse il capo. «Solo lei. D'accordo?»
Lui esitò, col cervello invaso da un nugolo di pensieri che lo spingevano da una parte e dall'altra, e poi scomparvero, lasciandolo libero di rispondere. «Se riesco a farcela,» le disse.
«Ci provi. Per favore. Posso mostrarle tutti i posti e le forme di vita che ho scoperto.»
«Sono belle?»
«Al... alcune. Perché mi fissa così intensamente? Mi rende nervosa.»
«Credo che lei sia pazza,» le disse.
«Sono solamente onesta. Dico semplicemente: 'Un uomo è solo un canale di sperma che produce altro sperma.' Questo è essere realisti.»
Seth Morley disse: «Non ne so molto di analisi junghiana, ma proprio non ricordo...» S'interruppe. Qualcosa, ai limiti della sua visuale, s'era mosso.
«Che succede?» chiese Susie Smart.
Lui si girò in fretta, e questa volta lo vide chiaramente. In cima all'armadio un oggettino grigio di forma quadrata si spostava in avanti; poi, quasi si fosse accorto della sua attenzione, si arrestò bruscamente.
In due passi Morley raggiunse l'armadio, raccolse l'oggetto, lo strinse forte nel palmo della mano.
«Non gli faccia male,» disse Susie Smart. «È innocuo. Qui, me lo dia.» Tese la mano e lui, con riluttanza, dischiuse le dita.
L'oggetto che stringeva somigliava a un palazzo in miniatura.
«Si,» disse Susie, leggendo la sua espressione. «Viene dal Palazzo. È una specie di figlio, immagino. Ad ogni modo è esattamente come il Palazzo, solo più piccolo.» Prese l'oggetto dalle sue mani, lo studiò per un attimo, poi lo depose di nuovo sull'armadio. «È vivo,» gli disse.
«Lo so,» ribatté lui. Stringendolo in mano, l'aveva sentito muoversi; aveva fatto pressione contro le dita nel tentativo di liberarsi.
«Sono sparsi un po' dappertutto,» disse Susie. «Là fuori.» Fece un gesto vago. «Forse domani possiamo trovarne uno anche per lei.»
«Non lo voglio,» disse lui.
«Dopo un po' che si troverà qui, gliene verrà voglia.»
«Perché?»
«Immagino che servano come compagnia. Qualcosa per rompere la monotonia. Mi ricordo che quand'ero bambina ho trovato in giardino un rospo ganimediano. Era così bello, con quel rosso scarlatto e quei peli lunghi, lisci, che...»
Morley disse: «Potrebbe essere stata una di quelle cose ad avere ucciso Tallchief.»
«Una volta Glen Belsnor ne ha smontato uno,» disse Susie. «Ha detto...» Si fermò a riflettere. «Sono innocui, ad ogni modo. Il resto del suo discorso era un guazzabuglio d'elettronica; non siamo riusciti a capirlo.»
«E lui ha capito tutto?»
«Sì.» Susie annuì.
Seth Morley disse: «Avete... Abbiamo un buon capo.» Ma non credo proprio che sia abbastanza buono,disse tra sé.
«Dobbiamo andare a letto?», chiese Susie.
«Cosa?» disse lui.
«Sono interessata all'idea di andare a letto con lei. Non riesco a giudicare un uomo se non ci sono stata a letto assieme.»
«E con le donne?»
«Non riesco a giudicarle per niente. Diavolo, non penserà mica che vada a letto anche con le donne? È roba da depravati. Ha tutta l'aria del tipo di cose che piacerebbe a Maggie Walsh. È lesbica, lo sa? O non lo sapeva?»
«Non vedo cosa importi. E non credo neanche che sia affare nostro.» Si sentiva scosso e a disagio. «Susie,» le disse, «dovresti ricorrere alle cure d'uno psichiatra.» Si ricordò, d'improvviso, quel che gli aveva detto Colui-Che-Cammina-In-Terra, su Tekel Upharsin. Forse abbiamo tutti bisogno di rivolgerci a uno psichiatra,pensò. Ma non a Wade Frazer. Questo è completamente, assolutamente fuori discussione.
«Non vuoi venire a letto con me? Ti piacerebbe, anche se adesso hai un po' di vergogna e paura. Sono molto brava. Conosco un mucchio di modi. Qualcuno, probabilmente, non l'hai mai sentito. Li ho inventati da me.»
«In anni di esperienza,» le disse lui.
«Sì.» Lei annuì. «Ho cominciato a dodici anni.»
«No,» disse lui.
«Sì,» disse Susie, e lo afferrò per la mano. Sul viso della ragazza lui lesse un'espressione disperata, come se stesse lottando per la vita. Poi si sentì spinto verso il suo corpo, mentre lei tirava con tutte le forze; lui resistette, e gli sforzi di Susie non valsero a nulla.
Susie Smart si accorse che l'uomo s'allontanava da lei. È molto forte,pensò. «Com'è che sei così forte?» gli chiese, boccheggiando; le sembrava quasi di non riuscire a respirare.
«Faccio il sollevamento delle rocce,» rispose lui con un sorriso.
Lo voglio , pensò lei. Grande, malvagio, forte... potrebbe farmi a pezzi,pensò. Il suo desiderio crebbe.
«Ti prenderò,» ansimò, «perché ti voglio.» Ho bisogno di averti,disse a se stessa. Ho bisogno che tu mi copra come un'ombra gigantesca, che mi protegga dal sole e da tutto ciò che si può vedere. Non voglio più guardare,disse tra sé. Schiacciami sotto il tuo peso,pensò. Fammi vedere di che pasta sei fatto; mostrami la tua vera essenza, senza il manto dei vestiti. Intrecciando le mani dietro la schiena, si slacciò il reggipetto. Con tutta l'abilità di cui era capace lo fece scivolare da sotto il maglione; tirò, spinse, riuscì ad appoggiarlo su una sedia. A quel gesto, l'uomo rise. «Perché ridi?» gli chiese lei.
«Il tuo senso dell'ordine,» disse lui. «Appoggiarlo su una sedia invece di lasciarlo cadere sul pavimento.»
«Maledizione a te,» disse lei, perché sapeva che quell'uomo, come tutti gli altri, stava ridendo di lei. «Ti prenderò,» ringhiò, e lo spinse con tutta la sua forza; questa volta riuscì a trascinarlo qualche passo in direzione del letto.
«Ehi, accidenti,» protestò Morley. Ma di nuovo lei riuscì a smuoverlo di parecchi passi. «Smettila!» disse lui. E poi lei lo aveva fatto cadere sul letto. Lo tenne schiacciato sul materasso con un ginocchio e rapidamente, con grande abilità, si slacciò la sottana, la spinse via dal letto, la lasciò cadere per terra.
«Visto?» gli disse. «L'ordine non m'interessa.» Poi si tuffò su di lui, gli inchiodò il corpo col ginocchio. «Non soffro di manie,» disse, togliendosi gli ultimi indumenti. Adesso gli stava strappando i bottoni della camicia. Un bottone, completamente divelto, scivolò giù dal letto come una rotellina, finì sul pavimento. Allora lei rise. Si sentiva molto bene. Quella parte l'eccitava sempre: era come l'ultima parte di una battuta di caccia, e, in questo caso la preda era un enorme animale che sapeva di sudore e di fumo di sigarette e di paura frenetica. Come può avere paura di me?,si chiese Susie. Ma era sempre così; ormai era riuscita ad accettare quel fatto. A dire il vero, cominciava a piacerle.
«Lasciami andare,» boccheggiò lui, cercando di respingerla. «Sei così maledettamente... scivolosa,» riuscì ancora a dire, mentre lei gli stringeva la testa col ginocchio.
«Posso renderti molto felice, sessualmente,» lo informò; lo diceva sempre, e a volte funzionava; a volte l'uomo si arrendeva alle prospettive che lei lasciava intuire. «Andiamo,» gli disse, in un sussulto veloce, implorante.
La porta della stanza si spalancò. Immediatamente, istintivamente, lei abbandonò con un salto l'uomo, il letto, si mise in piedi col fiato corto, scrutò la figura che era apparsa sulla soglia. La moglie. Mary Morley. Susie raccolse in fretta i vestiti; quella era una parte che non le andava a genio, e provò un odio gigantesco per Mary Morley. «Esca di qui,» sbuffò. «Questa è la mia stanza.»
«Seth!» esclamò Mary Morley con voce acuta. «In nome di Dio, che cosa ti succede? Come hai potuto fare questo?»Mosse adagio verso il letto, con un gran pallore dipinto sul viso.
«Dio,» disse Morley, rizzandosi a sedere e rimettendosi a posto i capelli. «Questa ragazza è scema,» disse a sua moglie, in tono di scusa. «Io non c'entro per niente, stavo cercando di liberarmi. Hai visto, non è vero? Hai capito che stavo cercando di liberarmi? Non hai visto?»
Mary Morley disse con quella sua voce acuta, quasi accelerata: «Se volevi liberarti, ce l'avresti fatta.»
«No,» ribatté lui, implorante. «Davvero, che Dio mi aiuti. Mi aveva immobilizzato. Comunque sarei riuscito a sfuggirle. Se non fossi entrata tu, mi sarei liberato da solo.»
«Ti ucciderò,» disse Mary Morley; girò sui tacchi, si mosse in cerchio, abbracciando con gli occhi quasi tutta la stanza. Cercava un oggetto con cui colpire; Susie conosceva già quei movimenti, quell'ansia, quella stupefatta, feroce, incredula espressione che la donna aveva sul viso. Mary Morley trovò un vaso, lo raccolse, si fermò di fianco all'armadio. Fissava intensamente il marito, e il petto le ansimava. Con uno spasmodico, improvviso, violento scatto del braccio, Mary alzò il vaso...
Sull'armadio, il palazzo in miniatura lasciò scivolare di fianco un pannello. Un minuscolo cannone si proiettò in fuori. Mary non lo vide, ma Susie e Seth Morley se ne accorsero.
«Attenta!» urlò Seth, afferrando sua moglie per la mano e tirandola poi verso di sé. Il vaso si schiantò sul pavimento. La punta del cannone ruotò, prendendo di nuovo la mira. D'improvviso ne uscì un raggio che puntava esattamente su Mary Morley. Susie, ridendo, si tirò indietro, lasciò un certo spazio tra sé e il raggio del cannone.
Il raggio non colpì Mary Morley. Sul muro opposto si disegnò un foro in cui s'infiltrò l'aria della notte, fredda e pungente, che poi si diffuse nella stanza. Mary sussultò, si tirò indietro di un passo.
Seth Morley scomparve di corsa nel bagno, ne uscì alla stessa velocità frenetica, stringendo in mano un bicchiere colmo d'acqua. Schizzò all'armadio, versò l'acqua nel palazzo vivente. La punta del cannone smise di ruotare.
«Credo di averlo messo a posto,» disse Seth Morley, con un affanno da asmatico.
Dalla minuscola struttura architettonica uscì un ricciolo di fumo grigio. Il palazzo sussultò brevemente e poi esalò un liquido appiccicoso, untuoso, che andò a mischiarsi con la poca acqua che s'era fermata sull'armadio. La cosa sobbalzò, si mosse all'indietro, e poi, d'improvviso, cadde nell'immobilità. Seth aveva ragione: era morto.
«Lo hai ucciso,» disse Susie, in tono d'accusa.
Seth Morley disse: «Ecco cosa ha ucciso Tallchief.»
«Ha cercato di uccidere anche me?» chiese debolmente Mary Morley. Si guardò attorno sospettosamente; adesso era scomparso dal suo viso il fanatismo della furia distruttrice. Sedette con cautela, fissò il minuscolo edificio, pallidissima, e poi disse a suo marito: «Usciamo di qui.»
Seth Morley disse a Susie: «Dovrò raccontarlo a Glen Belsnor.» Raccolse adagio, con grande attenzione, la piccola cosa morta; la strinse nel palmo della mano e restò a fissarla per molto, molto tempo.
«Mi ci sono volute tre settimane per addomesticarlo,» disse Susie. «Adesso dovrò scovarne un altro, e portarmelo a casa senza farmi uccidere, e addomesticarlo come questo.» Sentiva crescere dentro di sé una massiccia, inarrestabile ondata di rabbia accusatrice. «Guarda cosa hai fatto,» disse, e si chinò di nuovo a raccogliere i vestiti.
Seth e Mary Morley s'incamminavano verso la porta; Seth teneva la mano sulla spalla della moglie. La guidava fuori.
«Maledizione a tutti e due!» gridò Susie, in tono d'accusa. Vestita a metà, li seguì. «E per domani?» disse a Seth. «Facciamo sempre la nostra passeggiata? Voglio farti vedere alcune delle ...»
«No,» rispose lui duramente, e poi si girò a guardarla con calma, con lentezza. «Non capisci proprio quel che è successo,» le disse.
Susie disse: «Capisco solo quel che è quasi successo.»
«C'è bisogno che qualcuno muoia, prima che tu ti svegli?» le chiese Morley.
«No,» rispose lei, a disagio; non le piaceva l'espressione dei suoi occhi, così duri, così cattivi. «D'accordo,» gli disse, «se per te è così importante, quel giocattolo...»
«Giocattolo», ripeté lui, ironico.
«Giocattolo,» ribadì lei. «Se t'interessa tanto, dovrebbero interessarti anche le cose che ci sono là fuori. Non capisci? Era solo un modellino del vero Palazzo. Non vuoi vederlo? Io l'ho visto molto da vicino. So anche cosa dice la scritta sull'ingresso principale. Non l'ingresso da cui entrano ed escono le macchine, quello...»
«E cosa dice?» le chiese lui.
Susie ribatté: «Verrai con me?» Rivolgendosi poi a Mary Morley con tutta la grazia di cui era capace, disse: «Anche lei. Dovreste venire tutti e due.»
«Verrò da solo,» disse Seth, e poi spiegò a sua moglie: «È troppo pericoloso; non ti voglio portare.»
«Tu non mi vuoi portare,» disse Mary, «per altre ragioni molto ovvie.» Ma sembrava timida e spaventata, come se la minaccia del raggio d'energia l'avesse svuotata di ogni emozione lasciandole solo una paura tremenda, pulsante.
Seth Morley chiese: «Com'è la scritta sull'entrata?»
Dopo una pausa, Susie rispose: «C'è scritto 'Frusteria'.»
«E cosa significa?»
«Di sicuro non lo so, ma sembra affascinante. Forse questa volta riusciremo a entrare, in un modo o nell'altro. Ci sono arrivata molto vicino, ho quasi toccato il muro. Ma non riuscivo a trovare un ingresso secondario, e avevo paura, non so perché, di passare dall'entrata principale.»
Senza aggiungere una parola, Seth Morley uscì nella notte, guidando la sua terrorizzata moglie. Susie si trovò in mezzo alla stanza, sola e quasi svestita.
«Puttana!» gridò forte alle loro spalle. Si riferiva a Mary.
Ma i due continuarono a camminare. E scomparvero nel buio.
CAPITOLO SETTIMO
«Non si faccia illusioni,» disse Glen Belsnor. «Se ha sparato a sua moglie è perché quella gentile donzella, quella Susie Dumb o Smart, come diavolo si chiama, lo desiderava. Glielo ha insegnato. Si possono addestrare, vede.» Sedeva stringendo in mano il palazzo morto; lo scrutava intensamente, e poco per volta si dipingeva sul suo viso lungo, magro, un'espressione concentrata.
«Se non avessi tirato giù mia moglie,» disse Seth, «stanotte ci sarebbe stato un altro morto.»
«Forse sì, forse no. Considerata la scarsa potenza di questi affari, probabilmente sarebbe solo svenuta.»
«Il raggio ha fatto un buco nel muro.»
Belsnor disse: «I muri sono di plastica da due soldi, a un solo strato. Anche lei sarebbe capace di bucarli con la punta del dito.»
«Dunque questo non la preoccupa.»
Belsnor si morsicò il labbro inferiore, pensoso. «È tutta la faccenda che mi preoccupa. Cosa diavolo ci stava a fare, lei, nella stanza di Susie?» Alzò una mano. «Non dica niente, lo so. È sessualmente malata. No, mi risparmi i particolari.»
Si mise a giocherellare con la copia del Palazzo. «Peccato che non abbia sparato a Susie,» mormorò, rivolto a se stesso.
«C'è qualcosa di strano in tutti voi,» disse Seth.
Belsnor rialzò la testa ispida e studiò Seth Morley. «In che senso?»
«Non ne sono certo. Una specie d'ebetismo. Ciascuno di voi sembra vivere nel suo mondo personale. Senza nessun riguardo per gli altri. È come se...» Rifletté. «Come se ciò che volete, tutti quanti, sia di essere lasciati in pace.»
«No,» disse Belsnor. «Noi vogliamo andarcene da qui. Forse non abbiamo altro in comune, ma questo desiderio ci tiene uniti.» Tese a Morley il palazzo distrutto. «Lo tenga lei. Come ricordo.»
Seth lo gettò per terra.
«Domani andrà in esplorazione con Susie?» chiese Belsnor.
«La cosa non m'interessa. Non mi preoccupa. Io credo che sul pianeta si trovi un nemico che lavora contro di noi, tenendosi al di fuori della colonia. Penso che lui, o loro, abbiano ucciso Tallchief. Anche se Babble ha trovato quel che ha trovato.»
Belsnor disse: «Lei è nuovo di qui. Tallchief era nuovo di qui. Tallchief è morto. Credo che ciò implichi qualcosa; credo che la sua morte abbia a che fare con la scarsa familiarità all'ambiente di Delmak-O. Per cui anche lei si trova in pericolo. Ma noialtri, invece...»
«Lei non crede che dovrei uscire con Susie.»
«Vada, sì. Ma stia molto attento. Non tocchi niente, non raccolga niente, tenga gli occhi aperti. Vada solo dove lei è già stata; non esplori nuove zone.»
«Perché non viene anche lei?»
Fissandolo intensamente, Belsnor gli chiese: «Vuole che ci sia anch'io?»
«Lei è il capo della colonia, adesso. Sì, penso che dovrebbe venire. È armato.»
«Io...» Belsnor meditò. «Si potrebbe obiettare che dovrei fermarmi qui, a cercare di combinare qualcosa col trasmettitore. Si potrebbe obiettare che lei dovrebbe darsi da fare con la preghiera, invece di andare in giro all'aperto. Devo ponderare ogni aspetto della situazione. Si potrebbe obiettare...»
«Si potrebbe obiettare che i suoi 'si potrebbe obiettare' magari finiranno coll'ucciderci,» disse Seth Morley.
«Il suo 'si potrebbe obiettare' forse non è sbagliato.» Belsnor sorrise a una sua realtà segreta, privata. Il sorriso, che non era affatto divertito, aleggiò sul suo viso; vi rimase, si fece sardonico.
Seth Morley disse: «Mi racconti ciò che sa sull'ecologia del pianeta.»
«C'è un organismo che noi chiamiamo la tinca. Ce ne sono, a quanto sappiamo, cinque o sei. Vecchissimi.»
«Che cosa fanno? Producono oggetti?»
«Alcuni, quelli più deboli, non fanno nulla. Stanno adagiati qua e là in certe zone, non si muovono. Quelli meno deboli, invece, ristampano.»
«Ristampano?»
«Duplicano le cose che gli portiamo. Cose piccole, tipo orologi da polso, tazzine, rasoi elettrici.»
«E le ristampe?»
Belsnor diede un colpetto sul taschino della giacca. «La penna che uso è una ristampa. Ma...» Tirò fuori la penna e la tese a Seth Morley. «Vede in che stato è?» La superficie della penna era incrostata di qualcosa che sembrava sabbia.
«Si decompongono molto rapidamente. Questa funzionerà ancora per qualche giorno, e poi mi procurerò un'altra ristampa dell'originale.»
«Perché?»
«Perché siamo a corto di penne. E le poche che abbiamo sono quasi scariche.»
«E la roba che si scrive con queste penne ristampate? Anche l'inchiostro scompare dopo qualche giorno?»
«No,» disse Belsnor, ma sembrava a disagio.
«Non ne è certo.»
Tirandosi in piedi, Belsnor frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse il portafoglio. Per un po' esaminò piccoli fogli di carta tutti spiegazzati, e poi ne mise uno di fronte a Seth. I caratteri della scrittura erano nitidi, perfettamente distinti.
Maggie Walsh entrò in sala di riunione, li vide, si avvicinò. «Posso unirmi alla conversazione?»
«Certo,» rispose Belsnor, distratto. «Prenditi una sedia.»
Gettò un'occhiata a Seth Morley, poi disse a Maggie con voce dura, aspra: «Il palazzo in miniatura di Susie Smart ha cercato di uccidere la moglie di Morley, qualche minuto fa. Ha sbagliato mira, e Morley lo ha neutralizzato con un bicchiere d'acqua.»
«L'avevo avvisata,» disse Maggie, «che quegli affari sono pericolosi.»
«No, sono abbastanza innocui,» ribatté Belsnor. «È Susie che è pericolosa... come stavo spiegando a Morley.»
«Dovremmo pregare per lei,» disse Maggie.
«Vede?» chiese Belsnor, a Seth Morley. «Ci preoccupiamo gli uni degli altri. Maggie vuole salvare l'anima immortale di Susie Smart.»
«Preghi,» disse Seth Morley, «che quella ragazza non trovi un altro giocattolino come questo e si metta ad addomesticarlo.»
«Morley,» disse Belsnor, «ho riflettuto sull'idea che lei ha del nostro gruppo. In un certo senso ha ragione; c'è qualcosa di strano in tutti noi. Ma non quello che pensa lei. La cosa che abbiamo in comune e che siamo tutti dei falliti. Prenda Tallchief. Non si è accorto che era un ubriacone? E Susie... non ha in mente altro che le attività sessuali. Posso azzardare un'ipotesi anche su lei, Morley. Lei è piuttosto grasso; ovviamente mangia troppo. Vive solo per mangiare, Morley? O non se l'è mai chiesto? Babble è un ipocondriaco. Betty Jo Berm ha l'ossessione di ingurgitare pillole: la sua vita sta tutta in quelle bottigliette di plastica. Quel ragazzo, Tony Dunkelwelt, vive per le sue visioni mistiche, le sue trance schizofreniche... cioè, come dicono Babble e Frazer, è in uno stato di stupore catatonico. Maggie, qui...» Fece un cenno in direzione della donna. «Vive in un mondo illusorio di preghiere e cerimonie, al servizio di una divinità che non ha il minimo interesse per lei.» Chiese a Maggie: «Hai mai visto l'Intercessore, Maggie?»
Lei scosse il capo, fece segno di no.
«O Colui-Che-Cammina-In-Terra?»
«No,» disse lei.
«E nemmeno il Demiurgo,» disse Belsnor. «Prendiamo Wade Frazer, adesso. Il suo mondo...»
«E lei?» gli chiese Seth.
Belsnor scrollò le spalle. «Ho anch'io il mio mondo.»
«Inventa,» disse Maggie Walsh.
«Ma non ho mai inventato nulla,» disse Belsnor. «Tutte le scoperte degli ultimi due secoli sono nate da laboratori immensi, dove lavoravano centinaia di ricercatori, addirittura migliaia. In questo secolo non esiste più la figura dell'inventore. Forse è solo che mi piace giocare con gli aggeggi elettronici. Comunque, mi diverto. Quasi tutto il piacere della mia vita, se non tutto, lo ricavo dalla costruzione di circuiti che in fin dei conti non servono a un bel niente.»
«Sogni di gloria,» disse Maggie.
«No.» Belsnor scosse la testa. «Io voglio dare il mio contributo personale; non voglio essere un semplice consumatore, come tutti voi.» Il suo tono era forte e robusto e molto sincero. «Viviamo in un mondo creato e modellato sui risultati del lavoro di milioni di uomini, quasi tutti morti, e praticamente nessuno di loro ha avuto la fama o i riconoscimenti che meritava. Non me ne importa se sarò ricordato per ciò che ho fatto; quello che m'importa è inventare qualcosa di prezioso, di utile, che la gente possa considerare un elemento indispensabile alla vita di ogni giorno. Come le spille di sicurezza. Chi lo sa chi le ha inventate? Ma tutta la gente di questa maledetta galassia usa spille di sicurezza, e l'inventore...»
«Le spille di sicurezza sono state inventate a Creta,» intervenne Seth Morley. «Nel quarto o quinto secolo avanti Cristo.»
Belsnor lo squadrò «Circa un millennio prima di Cristo.»
«Allora le interessa quando e dove le hanno inventate,» disse Seth Morley.
«Una volta sono quasi riuscito a inventare qualcosa,» disse Belsnor. «Un circuito silenziatore. Avrebbe dovuto interrompere il flusso d'elettroni in un qualsiasi conduttore per un raggio di circa quindici metri. Come arma di difesa sarebbe stata di una certa utilità. Ma non sono riuscito a propagare il campo per quindici metri; al massimo sono arrivato a una quarantina di centimetri. E questo è quanto.» Scivolò nel silenzio. Un silenzio meditabondo, intenso. Era perso in se stesso.
«Comunque ti amiamo lo stesso,» disse Maggie.
Belsnor rialzò il capo e la fissò.
«La Divinità accetta anche questo,» disse Maggie.
«Anche un tentativo che non ha dato risultati. La Divinità conosce i tuoi motivi, e i motivi sono tutto.»
«Non avrebbe nessuna importanza,» disse Belsnor, «se l'intera colonia morisse, se scomparissimo dal primo all'ultimo. Nessuno di noi ha dato il minimo contributo alla civiltà. Non siamo nient'altro che parassiti, e viviamo a spese della galassia. 'Il mondo si accorgerà a stento e non serberà memoria di ciò che facciamo qui'.»
Seth Morley disse a Maggie: «Il nostro capo. L'uomo che deve tenerci in vita.»
«Vi terrò in vita,» disse Belsnor. «Farò del mio meglio. Questo potrebbe essere il mio contributo: inventare un apparecchio a circuiti fluidi che ci salvi. Che neutralizzi tutti quei giocattoli coi loro cannoni.»
«Non credo che sia molto intelligente definire qualcosa un giocattolo solo perché è piccolo,» disse Maggie Walsh. «Ciò equivarrebbe a dire che i reni artificiali di Toxilax sono giocattoli.»
«Bisognerebbe chiamare giocattoli l'ottanta per cento di tutti i circuiti installati sulle navi dell'Interplan,» disse Seth Morley.
«Forse è questo il mio problema,» disse Belsnor, cupo. «Non riesco a capire cosa è un giocattolo e cosa non lo è... il che significa che non riesco a capire cos'è reale. Una nave giocattolo non è una vera nave. Un cannone giocattolo non è un vero cannone. Ma immagino che se può uccidere...» Rifletté. «Forse domani dovrei chiedere a tutti di frugare sistematicamente la colonia, raccogliere tutti i palazzi-giocattolo, anzi tutto quello che viene dall'esterno, e poi daremo fuoco al mucchio e ce ne saremo liberati.»
«Cos'altro è giunto dall'esterno nella colonia?» s'informò Seth Morley.
«Mosche artificiali,» rispose Belsnor. «Tanto per dirne una.»
«Prendono fotografie?» chiese Seth.
«No. Quelle sono le api artificiali. Le mosche artificiali volano e cantano.»
«Cantano?» Credeva di aver sentito male.
«Ne ho qui una.» Belsnor si frugò nelle tasche e alla fine tirò fuori una scatolina di plastica. «L'appoggi all'orecchio. Ce n'è dentro una.»
«Che razza di roba cantano?» Seth Morley si portò la scatola all'orecchio, si mise in ascolto. Dopo un attimo lo sentì: un suono lontano, dolce, come di violini. E,pensò, come di tante ali lontane. «Conosco il pezzo,» disse «ma non mi ricordo il titolo.» Una di quelle canzoncine che mi piacciono tanto,comprese. Di un'epoca remota.
«Suonano quello che piace a chi le ascolta,» disse Maggie Walsh.
Adesso la riconosceva. Granada. «Che mi venga un colpo,» disse forte. «È sicuro che si tratti di una mosca?»
«Guardi nella scatola,» lo invitò Belsnor. «Ma stia attento, non la lasci volare via. Sono rare ed è difficile catturarle.»
Con grande cura, Seth Morley fece scivolare indietro il coperchio della scatola. Vide una mosca nera, simile alle nastro-mosche di Proxima 6, grande e pelosa, con le ali che sbattevano e gli occhi sporgenti, occhi sfaccettati come quelli delle mosche vere. Richiuse la scatola, convinto. «Sorprendente,» disse. «Funziona da ricevitore? Raccoglie il segnale di una qualche trasmittente del pianeta? È una radio? E questo che è?»
«Ne ho smontata una,» disse Belsnor. «Non è un ricevitore; la musica esce da un altoparlante, ma è prodotta dalla mosca stessa. Il segnale è creato da un generatore miniaturizzato sotto forma di impulso elettrico, non molto dissimile dagli impulsi nervosi di una qualsiasi creatura vivente. Davanti al generatore c'è una soluzione acquosa che modifica in modo piuttosto complesso la conduttività, sicché si possono creare segnali molto complessi. Cosa le sta cantando?»
«Granada,» disse Seth Morley. Gli sarebbe piaciuto tenere la scatola. La mosca gli avrebbe fatto compagnia. «È disposto a venderla?» chiese.
«Se ne trovi una.» Belsnor si fece restituire la scatola, la rimise in tasca.
«Ci sono altre cose in giro estranee alla colonia?» chiese Seth Morley. «Oltre alle api, alle mosche, ai ristampatori e ai palazzi in miniatura?»
Maggie Walsh rispose: «Un altro tipo di stampatrice, grande come una pulce. Ma è capace di stampare un'unica cosa; la stampa all'infinito, una marea inarrestabile.»
«E stampa cosa?»
«Il Libro di Specktowsky,» disse Maggie Walsh.
«E questo è tutto?»
«È tutto quello che sappiamo,» lo corresse Maggie.
«Potrebbero esserci altre cose che non conosciamo.» Gettò un'occhiata tagliente a Belsnor.
Belsnor non disse nulla; si era di nuovo ritirato nel suo mondo personale; per il momento, ignaro di loro due.
Seth Morley raccolse il palazzo in miniatura e disse: «Se le tinche stampano solo duplicati di altri oggetti, non sono state loro a fare questo. Chi l'ha prodotto deve possedere una tecnologia molto sviluppata.»
«Potrebbe risalire a centinaia di anni fa,» disse Belsnor, destandosi dai suoi sogni. «Essere frutto di una razza che non c'è più.»
«E da allora qualcosa avrebbe continuato a fabbricarli?»
«Sì. O perlomeno, da quando siamo arrivati. Per il nostro divertimento.»
«Quanto durano questi palazzi in miniatura? Resistono più a lungo delle penne?»
«Capisco cosa intende,» disse Belsnor. «No, non sembra che decadano rapidamente. Forse non sono ristampe. Però la cosa non fa molta differenza: può darsi che li abbiano tenuti di scorta tutto questo tempo. Che li abbiamo messi da parte in caso di necessità, finché non fosse saltato fuori qualcosa sul tipo della nostra colonia.»
«C'è un microscopio?»
«Certo,» rispose Belsnor. «Babble ne ha uno.»
«Farò un salto da Babble, allora.» Seth Morley raggiunse la porta della sala di riunione. «Buonanotte,» disse, voltandosi indietro.
Nessuno dei due gli rispose; sembravano del tutto indifferenti a lui e a ciò che aveva detto. Tra un paio di settimane sarò anch'io ridotto così?,si chiese. Era una buona domanda, e tra non molto avrebbe scoperto la risposta.
«Sì,» disse Babble. «Usi il microscopio.» Indossava il pigiama, le pantofole, e un accappatoio a strisce di lana sintetica. «Stavo andando a letto.» Guardò Seth Morley che tirava fuori il palazzo in miniatura. «Oh, uno di quelli. Se ne trovano dappertutto.»
Sedendosi al microscopio, Seth Morley scoperchio il minuscolo edificio, gli tolse il fondo, poi lo piazzò sul vetrino del microscopio. Usò la risoluzione bassa, ottenendo un ingrandimento di seicento volte.
Strutture complicate... circuiti stampati, ovviamente, su una serie di moduli. Resistori, condensatori, valvole. Una fonte d'energia: una batteria a elio ultra-miniaturizzata. Riusciva a distinguere il perno su cui ruotava il cannone e quello che sembrava un filamento di germanio, che faceva da sorgente d'energia per il raggio. Non può essere molto potente,comprese. Belsnor, in un certo senso, aveva ragione: la forza del raggio, misurata in erg, deve essere terribilmente scarsa.
Si concentrò sul motore che permetteva al cannone di ruotare in una direzione e nell'altra. Sulla sbarretta che teneva ferma la canna, erano stampate delle parole; fece di tutto per leggerle e trovò, quando ebbe messo a fuoco l'obiettivo del microscopio, una conferma alle sue peggiori paure.
MADE AT TERRA 35082R
Quell'oggetto veniva dalla Terra. Non era stato inventato da una razza extraterrestre, non era stato prodotto dalle forme di vita indigene di Delmak-O. Punto e basta.
Generale Treaton , disse tra sé, rabbiosamente. Sei tu, in fin dei conti, che ci stai distruggendo. Il trasmettitore, il ricevitore, e l'ordine di raggiungere questo pianeta in frullatore. Sei stato tu a far uccidere Ben Tallchief? Naturalmente.
«Che cosa ha scoperto?» gli chiese Babble.
«Ho scoperto,» rispose Seth, «che il generale Treaton è il nostro nemico e non abbiamo neanche una probabilità di cavarcela.» Si allontanò dal microscopio. «Gli dia uno sguardo.»
Babble piazzò l'occhio sull'obiettivo del microscopio. «Nessuno ci aveva pensato,» disse poi. «Potevamo esaminare uno di questi così chissà quante volte, negli ultimi due mesi. E solo che non ci è mai venuto in mente.» Abbandonò anche lui il microscopio, scrutando Seth Morley con una certa esitazione. «Cosa facciamo?»
«Per prima cosa dobbiamo raccogliere tutti questi oggetti, tutto ciò che viene dall'esterno della colonia, e distruggerli.»
«Questo significa che anche il Palazzo è di origine terrestre.»
«Sì.» Seth Morley annuì. Evidentemente,pensò. «Siamo le cavie di un esperimento,» aggiunse.
«Dobbiamo andarcene da questo pianeta,» disse Babble.
«Non ci riusciremo mai,» disse Morley.
«Deve essere tutta colpa del Palazzo. Dobbiamo trovare il modo di distruggerlo. Ma non vedo come sia possibile.»
«Vuole rivedere le conclusioni che ha tratto dall'autopsia di Tallchief?»
«Non ho altro da scoprire. A questo punto direi che probabilmente è stato ucciso da un'arma di cui non sappiamo nulla. Qualcosa che produce tremendi cumuli d'istamina nel sangue e mette in moto quella che sembra una normale disfunzione degli organi respiratori. C'è un'altra possibilità che dobbiamo prendere in considerazione. Potrebbe essere tutto un trucco. In fin dei conti, la Terra è diventata un unico gigantesco ospedale per malati di mente.»
«Ci sono laboratori militari di ricerca, laggiù. Laboratori segretissimi. L'opinione pubblica non ne sa nulla.»
«E lei come lo sa?»
Seth Morley rispose: «A Tekel Upharsin, come idrobiologo del kibbutz, ho avuto a che fare con loro. E poi ci fornivano di armi.» Strettamente parlando, non era vero niente; in realtà aveva solo udito voci. Ma le voci lo avevano convinto.
«Mi dica,» gli chiese Babble, fissandolo in viso, «ha davvero visto Colui-Che-Cammina-In-Terra?»
«Sì,» rispose lui. «E ho notizie di prima mano sui laboratori militari segreti della Terra. Per esempio...»
Babble l'interruppe: «Lei ha visto qualcuno. Questo lo credo. Qualcuno che lei non conosceva è saltato fuori e le ha fatto notare una cosa che doveva essere ovvia: e precisamente, che il frullatore che lei aveva scelto non era in grado di tenere lo spazio. Ma nella sua mente c'era già l'idea, perché non le hanno ripetuto altro per tutta l'infanzia, che se un estraneo le si presentava offrendo spontaneamente il suo aiuto, quell'estraneo doveva essere una Manifestazione della Divinità. Ma rifletta: ciò che lei ha visto era ciò che s'aspettava di vedere. Lei ha dedotto che fosse Colui-Che-Cammina-In-Terra perché il Libro di Specktowsky è praticamente accettato dappertutto. Ma io non lo accetto.»
«Non lo accetta?» fece eco Morley, sorpreso.
«Per niente. Non è raro che un estraneo, un vero estraneo, un uomo qualunque, si faccia vivo e dia buoni consigli; la maggioranza degli uomini nutre buone intenzioni. Se mi fossi trovato a passare di lì, sarei intervenuto io stesso. Le avrei fatto notare che il suo frullatore non era a posto.»
«Allora lei sarebbe stato posseduto da Colui-Che-Cammina-In-Terra; sarebbe diventato lui, per un attimo. Può succedere a chiunque. Fa parte del miracolo.»
«Non esistono miracoli. Come Spinoza ha dimostrato secoli fa. Un miracolo sarebbe segno della debolezza di Dio, in quanto infrangerebbe le leggi naturali. Se Dio esistesse.»
Seth Morley disse: «Lei ci ha detto, poche ore fa, di avere visto sette volte Colui-Che-Cammina-In-Terra.» Morley si sentiva pieno di sospetti; aveva trovato il punto debole del racconto di Babble. «E anche l'Intercessore.»
«Quel che volevo dire,» puntualizzò freddamente il dottore, «è che mi sono trovato in certe situazioni esistenziali dove alcuni uomini si sono comportati come si sarebbe comportato Colui-Che-Cammina-In-Terra, se esistesse. Il suo problema è lo stesso di un mucchio d'altra gente: tutto perché abbiamo incontrato razze senzienti non-umanoidi, e alcune d'esse ci sono talmente superiori (quelle che definiamo 'dei', su quelli che chiamiamo 'mondi divini') da metterci, per fare un esempio nella stessa posizione che i cani o i gatti occupano ai nostri occhi. Per un cane o per un gatto, l'uomo o Dio può fare cose divine. Ma le forme di vita quasi-biologiche, ultra-senzienti dei mondi divini... anche loro, come noi, sono il semplice prodotto dell'evoluzione naturale. Col tempo potremmo evolverci anche noi fino a quel punto, forse più avanti. Non sto dicendo che succederà, sto dicendo che in teoria potremmo.» Puntò, senza un'intenzione precisa, l'indice contro Seth Morley. «Non sono state loro a creare l'universo. Non sono Manifestazioni del Demiurgo. Tutto quel che abbiamo è la loro parola, la loro sicurezza di essere Manifestazioni della Divinità. E perché dovremmo crederci? Certo, è naturale che se gli andiamo a chiedere: 'Siete Dio? Avete creato l'universo?', quelli risponderanno di sì. Anche noi faremmo lo stesso. I bianchi, nel sedicesimo e diciassettesimo secolo, raccontarono le stesse storie agli indigeni del Nord e Sud America.»
«Ma gli spagnoli e gli inglesi e i francesi erano colonizzatori. Avevano motivi precisi di fingersi dei. Prenda Cortez. Lui...»
«Le forme di vita dei cosiddetti 'mondi divini' hanno motivi simili.»
«Per esempio?» Sentiva che il sordo ticchettio della rabbia si stava gonfiando. «Vivono come santi, in contemplazione. Ascoltano le nostre preghiere, se riescono a raccorglierle, e fanno di tutto per esaudirle. Come hanno fatto, per citare solo un caso, con Ben Tallchief.»
«Lo hanno mandato qui a morire. È giusto o no?»
Quell'idea lo tormentava profondamente sin da quando aveva visto per la prima volta il corpo morto, inerte, di Tallchief. «Forse non lo sapevano,» rispose, a disagio. «In fin dei conti, Specktowsky mette in chiaro che la Divinità non conosce tutto. Per esempio, Egli non sapeva che esistesse il Distruttore Formale, o che il Suo risveglio sarebbe stato causato dai cerchi concentrici delle emanazioni che fanno l'universo. O che il Distruttore Formale sarebbe entrato nell'universo, e quindi nel tempo, e avrebbe corrotto quell'universo che il Demiurgo aveva fatto a propria immagine, in modo che l'immagine si corrompesse.»
«Proprio come Maggie Walsh. Anche lei parla allo stesso modo.» Il dottor Babble uscì in una risata aspra, breve.
Seth Morley disse: «Non m'è mai capitato d'incontrare un ateo.» In realtà ne aveva incontrato uno, ma era una faccenda vecchia di anni. «È piuttosto strano in quest'epoca, quando abbiamo prove concrete dell'esistenza di Dio. Posso capire che l'ateismo fosse molto diffuso nelle ere precedenti, quando la religione si basava sulla fede in cose che non si potevano vedere... ma adesso le vediamo tutti, come ci ha indicato Specktowsky.»
«Colui-Che-Cammina-In-Terra,» ribatté sardonicamente Babble, «è una specie di anti-Persona-di-Porlock. Invece di immischiarsi in un normale processo o avvenimento farebbe meglio...» Il dottore s'interruppe.
La porta dell'infermeria s'era aperta. Sulla soglia stava un uomo che indossava una giacca da lavoro in plastica morbida, pantaloni di simil-cuoio e stivali. Aveva capelli neri e doveva essere appena sulla trentina, con un viso forte; i suoi zigomi erano alti, gli occhi grandi e lucidi. Teneva in mano una torcia elettrica, che adesso aveva spenta. Stava lì fermo a fissare Babble e Seth Morley, senza dire nulla. Semplicemente restava in silenzio, aspettando. Seth Morley pensò: questo è uno della colonia che non ho mai visto. E poi, notando l'espressione di Babble, capì che nemmeno Babble l'aveva mai visto.
«Chi è lei?» chiese Babble, con voce roca.
L'uomo rispose in tono basso, calmo: «Sono appena giunto col frullatore. Mi chiamo Ned Russell. Sono un economista.» Tese la mano a Babble, che gliela strinse automaticamente.
«Credevo che ci fossimo tutti,» disse Babble. «Siamo in tredici persone; non dovrebbe mancare nessuno.»
«Ho chiesto un trasferimento e mi hanno dato questa destinazione. Delmak-O.» Russell si girò verso Seth Morley, tendendo di nuovo la mano. Morley gliela strinse.
«Vediamo il suo ordine di trasferimento,» disse Babble.
Russell frugò nella tasca della giacca. «Strano posto che avete qui. Quasi senza luci, il pilota automatico che non funziona... Ho dovuto atterrare da solo, e non ho molta familiarità coi frullatori. L'ho parcheggiato con tutti gli altri, in quel campo ai margini della colonia.»
«Così abbiamo due punti da sottoporre a Belsnor,» disse Seth Morley. «La scritta sul palazzo in miniatura, e lui.» Si chiese quale dei due si sarebbe rivelato più importante. Per il momento non riusciva a scrutare il futuro con sufficiente chiarezza per decidere in un senso o nell'altro. Qualcosa che ci salvi,pensò; qualcosa che ci condanni. L'equazione generale poteva avere qualunque risultato.
Nell'oscurità della notte, Susie Smart scivolò lentamente verso l'appartamento di Tony Dunkelwelt. Indossava una sottoveste nera e scarpe coi tacchi alti, perché sapeva che al ragazzo piaceva così.
Pum, pum.
«Chi è?» mormorò una voce dall'interno.
«Susie.» Spinse la maniglia: la porta era aperta. Così entrò nella stanza.
Nel centro del locale, Tony Dunkelwelt sedeva a gambe incrociate sul pavimento, di fronte a un'unica candela. I suoi occhi, nella debole luce, erano chiusi; evidentemente era in trance. Non dava segno di accorgersi di lei o di riconoscerla, eppure le aveva chiesto il nome. «È tutto a posto se entro?»
I suoi stati di trance la preoccupavano. In quei momenti, lui si isolava completamente dal mondo normale. A volte restava seduto così per ore intere, e quando chiedevano al ragazzo cosa vedeva lui rispondeva poco, o nulla.
«Non ho intenzione di disturbare,» disse lei, visto che Tony non rispondeva.
Con voce modulata e assente, Tony disse: «Benvenuta.»
«Grazie,» rispose lei, sollevata. Accomodandosi su una sedia dalla spalliera rigida, Susie tirò fuori il pacchetto di sigarette, ne accese una, si appoggiò all'indietro per quella che sapeva sarebbe stata una lunga attesa.
Ma non aveva voglia di aspettare.
Con calma, gli diede qualche colpetto leggero con la suola delle scarpe. «Tony?» disse. «Tony?»
«Sì,» disse lui.
«Dimmi, Tony, cosa vedi? Un altro mondo? Puoi vedere tutti quegli dei affacendati che si danno da fare per esaudire i nostri desideri? Puoi vedere il Distruttore Formale in azione? Che aspetto ha?» Nessuno aveva mai visto il Distruttore Formale, a parte Tony Dunkelwelt. Il ragazzo teneva tutto per sé il principio del male. Ed era quella spaventosa particolarità delle sue trance che la faceva desistere dall'idea d'interferire; quando lui era in stato di trance, Susie cercava di lasciarlo in pace, di permettergli di tornare da solo dalle sue visioni della malignità allo stato puro alle responsabilità quotidiane.
«Non parlare,» mormorò Tony. Teneva fortemente serrati gli occhi, e il suo viso era teso e rosso.
«Smettila per un attimo,» disse lei. «Dovresti essere a letto. Vuoi andare a letto, Tony? Con me, per esempio?» Gli mise una mano sulla spalla e lui, poco per volta, si tirò indietro, fino a che Susie si trovò a stringere il nulla. «Ricordi quello che hai detto, che ti amo perché non sei ancora un vero uomo? Ma tu sei un vero uomo. Credi che non lo sappia? Lascia decidere me: sarò io a capire quando sei un uomo e quando non lo sei, se mai dovesse succedere che tu non lo sia. Ma fino a ora tu sei stato più che un uomo. Lo sapevi che un uomo di diciott'anni può avere sette orgasmi in un periodo di ventiquattro ore?» Attese, ma lui non disse nulla. «È molto bello,» aggiunse lei.
Tony disse in tono rapito: «C'è una divinità al di sopra della Divinità. Una che contiene tutte e quattro le altre.»
«Quattro cosa? Cosa quattro?»
«Le quattro Manifestazioni. Il Demiurgo, il...»
«Qual è la quarta?»
«Il Distruttore Formale.»
«Vuoi dire che riesci a comunicare con un dio che unisce il Distruttore Formale agli altri tre? Ma questo non è possibile, Tony; loro sono buoni, e il Distruttore Formale è malvagio.»
«Lo so,» rispose lui, con voce monotona. «È per questo che ciò che vedo è così importante. Un dio-al-di-sopra-di-dio, che nessun altro all'infuori di me può vedere.» Di nuovo, passo dopo passo, lui scivolò nella sua trance; smise di parlarle.
«Com'è possibile che tu veda qualcosa che nessun altro riesce mai a vedere, e la chiami reale?» chiese Susie. «Specktowsky non ha detto nulla di divinità del genere. Credo che sia tutto frutto del tuo cervello.» Si sentiva stanca e fredda, e la sigaretta le bruciava il naso; come al solito, aveva fumato troppo. «Andiamo a letto, Tony,» disse con forza, e gettò via la sigaretta. «Avanti.» Piegandosi, lo afferrò per il braccio. Ma lui rimase inerte. Come una roccia.
Il tempo passava. Lui continuava la sua comunione spirituale.
«Gesù!» esclamò Susie, rabbiosa. «Be', all'inferno; me ne vado. Buonanotte.» Alzandosi, arrivò in fretta alla porta, l'aprì, si fermò sulla soglia, metà fuori e metà dentro. «Potremmo divertirci un mucchio, se andassimo a letto,» gli disse in tono lamentoso. «C'è qualcosa di me che non ti piace? Voglio dire, potrei fare dei cambiamenti. E ho letto alcune cose; ci sono diverse posizioni che non conoscevo. Lascia che te le insegni; sembrano proprio divertenti.»
Tony Dunkelwelt aprì gli occhi e, senza sbatterli, la guardò. Susie non riuscì a decifrare la sua espressione, e questo la fece sentire a disagio; cominciò a carezzarsi le braccia nude, rabbrividendo.
«Il Distruttore Formale,» disse Tony, «è l'assolutamente-non-Dio.»
«Lo capisco,» disse lei.
«Ma 'l'assolutamente-non-Dio' è una categoria dell'essere.»
«Se lo dici tu, Tony.»
«E Dio contiene tutte le categorie dell'essere. Quindi Dio può essere l'assolutamente-non-Dio, il che trascende la ragione e la logica umana. Ma intuitivamente anche noi sentiamo che è così. Non è vero? Non preferiresti un monismo che trascenda il nostro pietoso dualismo? Specktowsky era un grande uomo, ma esiste una più alta struttura monistica al di sopra del dualismo che egli ha intuito. C'è un Dio più alto.»La scrutò. «Cosa ne pensi?» le chiese, un po' timidamente.
«Penso che sia meraviglioso,» rispose Susie, con entusiasmo. «Deve essere fantastico avere delle trance e percepire ciò che percepisci tu. Dovresti scrivere un libro e spiegare che ciò che dice Specktowsky è sbagliato.»
«Non è sbagliato,» disse Tony. «Però quello che vedo io lo trascende. Quando giungi a quel livello, due cose opposte possono essere uguali. E questo che sto cercando di rivelare.»
«Non potresti rivelarlo domani?» chiese lei, che continuava a rabbrividire e a massaggiarsi le braccia. «Ho addosso tanto freddo e stanchezza, e ho avuto un orribile scontro con quella maledetta Mary Morley poche ore fa, quindi dammi retta, per favore; andiamo a letto.»
«Sono un profeta,» disse Tony. «Come Cristo o Mosé o Specktowsky. Nessuno mi dimenticherà.» Chiuse di nuovo gli occhi. La fiamma della candela ondeggiò e quasi si spense. Lui non se ne accorse.
«Se sei un profeta,» disse Susie, «fammi un miracolo.» Aveva letto nel Libro di Specktowsky che i profeti hanno poteri miracolosi. «Dimostramelo,» aggiunse.
Un occhio si spalancò. «Perché vuoi un segno?»
«Non voglio un segno. Voglio un miracolo.»
«Un miracolo,» disse lui, «è un segno. D'accordo, farò qualcosa che ti convincerà.» Gettò un'occhiata per la stanza, e il suo viso dimostrava un profondo sentimento. Adesso si che l'aveva svegliato, comprese Susie. E la cosa non gli piaceva.
«Il viso ti sta diventando nero,» gli disse.
Lui si toccò, in via sperimentale, la fronte. «Sta diventando rosso. Ma la fiamma della candela non ha uno spettro luminoso completo, e allora sembra nero.» Si alzò in piedi e si mise a girare attorno, fregandosi la punta del naso.
«Da quanto tempo stavi seduto lì?» gli chiese Susie.
«Non lo so.»
«Giusto; perdi completamente la nozione del tempo.» Una volta gli aveva sentito dire qualcosa del genere, e solo quell'idea bastava a stupirla. «D'accordo,» gli disse, «trasformalo in una pietra.» Susie aveva trovato un pezzo di pane, un barattolo di burro di noci, e un coltello; stringendo in mano il pezzo di pane, si mosse verso lui. Si sentiva maliziosa. «Sei capace di farlo?»
Solennemente, lui rispose: «Un miracolo opposto a quello di Cristo.»
«Sei capace di farlo?»
Lui accettò il pezzo di pane che Susie gli tendeva, lo strinse con tutte e due le mani; si chinò a fissarlo, con le labbra agitate dalle contrazioni nervose. Tutto quanto il suo viso cominciò a tremare, come se Tony stesse facendo uno sforzo tremendo. Il buio crebbe; i suoi occhi scomparvero e furono sostituiti da indecifrabili bottoni d'oscurità.
Il pezzo di pane scivolò via dalle sue mani, si alzò sino a restare sospeso molto al di sopra di lui... si agitò, assunse contorni indistinti, e poi, come una pietra, ricadde sul pavimento. Come una pietra? Susie s'inginocchiò a fissare la cosa, chiedendosi se la luce della stanza l'avesse per caso ipnotizzata. Il pezzo di pane era scomparso. Ciò che giaceva sul pavimento sembrava una roccia liscia e grande, una roccia levigata dall'acqua, dai contorni pallidi. «Buon Dio,» disse lei, a mezza voce. «Posso raccoglierla? Non fa niente?»
Tony, con gli occhi nuovamente pieni di vita, s'inginocchiò a sua volta a fissare la pietra. «La forza di Dio,» disse, «era in me. Non sono stato io a compiere il miracolo; è stato compiuto per mio tramite.»
Raccogliendo la pietra, Susie scoprì che era pesante e calda e quasi viva. Una roccia animata,disse tra sé. Come se fosse organica. Forse non è una vera pietra. La scagliò contro il muro: sembrava abbastanza dura, e il rumore era quello giusto. È una pietra,comprese. È davvero una pietra!
«Posso tenerla?» gli chiese. Il suo stupore, adesso, era assoluto; lo scrutò speranzosa, desiderando solo di fare ciò che lui voleva.
«Puoi tenerla, Suzanne,» rispose Tony con voce calma. «Ma alzati e torna alla tua stanza. Sono stanco.» La sua voce era davvero stanca, e tutto il suo corpo era teso. 'Ti vedrò domattina a colazione. Buonanotte.»
«Buonanotte,» disse Susie, «Ma posso spogliarti e metterti a letto; mi piacerebbe.»
«No,» disse lui. Camminò sino alla porta e la tenne aperta per farla uscire.
«Bacio.» Lei gli si avvicinò, tese il viso in avanti e lo baciò sulle labbra. «Grazie,» gli disse, sentendosi molto sciocca. «Buonanotte, Tony. E grazie per il miracolo.» La porta stava già chiudendosi alle sue spalle, ma lei si girò bruscamente e tenne aperto uno spiraglio con la punta delle scarpe. «Posso raccontarlo a tutti? Voglio dire, non è il primo miracolo che fai? Non dovrebbero saperlo? Ma se tu non vuoi che lo sappiano non glielo dirò.»
«Lasciami dormire,» rispose lui, e chiuse la porta; lei se la vide sbattere sul viso e provò un terrore animale. Era questa la cosa che più di tutte temeva, nella sua esistenza: vedere la porta di un uomo che le si chiudeva davanti. Immediatamente cercò in tasca la pietra, la trovò, la usò per picchiare sulla porta, ma non troppo forte, solo quel che bastava per fargli capire con quanta disperazione voleva tornare là dentro, ma non tanto forte da disturbarlo se non voleva rispondere.
E lui non rispose. Nessun suono, nessun movimento della porta. Nient'altro che il nulla.
«Tony?» boccheggiò lei, premendo l'orecchio contro la porta. Silenzio. «D'accordo,» disse, quasi intirizzita; sempre stringendo in mano la pietra, s'incamminò esitante verso la veranda, verso il suo appartamento.
La pietra scomparve. La sua mano non stringeva più niente.
«Maledizione,» disse, non sapendo esattamente come reagire. Dove se n'era andata? In fumo. Ma allora doveva essere un'illusione,comprese. Mi ha messo in stato ipnotico e mi ha costretta a credergli. Dovevo saperlo che non era vero sul serio.
Un milione di stelle si trasformarono in ruote di luce accecante, purulenta, fredda, e lei ne fu sommersa. La luce veniva dalle sue spalle: sentì come un grande peso che esplodeva dentro sé. «Tony,» disse, e cadde nel vuoto che l'aspettava. Non pensò a niente; non sentì niente. Vide soltanto, vide il vuoto che l'assorbiva, che aspettava sopra e sotto lei, che la faceva precipitare per chilometri e chilometri.
Morì così, appoggiata su mani e ginocchia. Sola sulla veranda. Cercando ancora ciò che non esisteva.
CAPITOLO OTTAVO
Glen Belsnor sognava. Nel buio della notte, sognava sé stesso; si vedeva com'era in realtà, un difensore saggio e altruista. Pieno d'allegria, pensò: posso farlo. Posso prendermi cura di tutti quanti, aiutarli e proteggerli. Devono essere protetti ad ogni costo,pensò tra sé nel sogno.
Nel sogno allacciava un cavo di connessione, avvitava al suo posto un interruttore, inventava un apparecchio di servoassistenza.
Un ronzio s'alzava dal complesso meccanismo. Uno schermo d'energia, alto chilometri e chilometri, si stendeva in ogni direzione. Nessuno potrà oltrepassarlo,disse a se stesso; si sentì soddisfatto, e una parte della sua paura cominciò a svanire. La colonia è al sicuro, e il merito è mio.
Nella colonia la gente andava avanti e indietro, indossando lunghe tuniche rosse. Venne mezzogiorno, e poi fu mezzogiorno per un migliaio d'anni. Vide, d'improvviso, che gli altri erano diventati vecchi. Traballanti, tutti con le barbe lunghe, anche le donne, i coloni si muovevano piano piano, come insetti stanchi. E qualcuno, vide, era cieco.
Allora non siamo al sicuro , comprese. Anche con lo schermo d'energia in azione. Ci distruggono dall'interno. Moriranno tutti, lo stesso.
«Belsnor!»
Aprì gli occhi e seppe di cosa si trattava.
La luce grigia del primo mattino filtrava dalle finestre della stanza. Le sette, gli disse l'orologio da polso automatico. Si rizzò a sedere, spinse via le coperte. L'aria fredda del mattino gli pizzicò la carne, e lui rabbrividì. «Chi?» Chiese agli uomini e alle donne che s'erano precipitati nella sua stanza. Chiuse gli occhi, fece una smorfia, si accorse che le tracce rancide del sonno, nonostante la situazione d'emergenza, gli aderivano ancora agli occhi.
Ignatz Thugg, che indossava un pigiama a colori vivaci, rispose forte: «Susie Smart.»
Infilandosi l'accappatoio, Belsnor cercò di raggiungere torpidamente la porta.
«Lo sai cosa significa?» chiese Wade Frazer.
«Si,» disse lui. «So esattamente cosa significa».
Roberta Rockingham, asciugandosi gli occhi con la punta di un minuscolo fazzoletto di lino, disse: «Era uno spirito così allegro, sembrava tutto più bello quando c'era lei in giro. Chi può averle fatto una cosa del genere?» Un fiotto di lacrime si materializzo sulle sue guance rinsecchite.
Belsnor uscì all'aria aperta; gli altri gli tennero dietro senza dire una parola.
Giaceva lì, sulla veranda. A due passi dal suo appartamento. Si piegò su di lei, le toccò il retro del collo. Assolutamente freddo. Nessuna traccia di vita. «L'hai già esaminata?» chiese a Babble. «È morta davvero? Non c'è nessun dubbio?».
«Guardati la mano,» disse Wade Frazer.
Belsnor tolse la mano dal collo della ragazza, era coperta di sangue. E adesso vedeva la massa di sangue nei capelli di Susie, quasi alla sommità del cranio. Le avevano fatto implodere la testa.
«Vuoi rivedere la tua autopsia?» chiese sarcasticamente a Babble. «La tua opinione sulla morte di Tallchief, vuoi cambiarla, adesso?».
Nessuno parlò.
Belsnor si guardò attorno, vide non lontano un pezzo di pane. «Doveva averlo in mano,» disse.
«Gliel'ho dato io,» disse Tony Dunkelwelt. Il suo viso, per lo shock, era impallidito; le sue parole erano a stento percepibili. «Questa notte Susie è uscita dalla mia stanza e io sono andato a letto. Non l'ho uccisa io. Non sapevo neanche che fosse successo fino a che non ho sentito gridare il dottor Babble e gli altri.»
«Nessuno sta dicendo che sia stato tu,» gli disse Belsnor. Sì, quella ragazza aveva l'abitudine di scivolare, durante la notte, da una stanza all'altra,pensò. Noi ci divertivamo perché lei era un po' toccata... ma non ha mai fatto male a nessuno. Aveva tutta l'innocenza che si può chiedere a un essere umano; era innocente anche dei suoi peccati.
Il nuovo arrivato, Russell, si avvicinò. L'espressione del suo viso dimostrava che anche lui, senza aver conosciuto Susie, capiva che cosa orribile fosse quella, che momento orribile per tutti loro.
«Ha visto quel che era venuto a vedere?» gli chiede Belsnor, duramente.
Russell rispose: «Mi domando se potrei chiedere aiuto con la trasmittente del mio frullatore.»
«Non sono abbastanza buoni,» disse Belsnor. «Gli impianti radio dei frullatori. Non sono buoni per niente.» Si rimise in piedi con una certa fatica; sentì che le ossa del suo corpo scricchiolavano. Ed è la Terra che sta facendo tutto questo,pensò, ricordandosi quel che gli avevano raccontato Seth Morley e Babble la notte scorsa, quando gli avevano portato Russell. Il nostro governo. Come se fossimo topi chiusi in un labirinto con la morte; piccoli inutili roditori chiusi in gabbia con l'estrema avversaria, destinati a morire uno per uno, fino a scomparire tutti.
Seth Morley lo trasse in disparte, lo fece allontanare dagli altri. «È sicuro di non volerglielo dire? Hanno diritto di sapere chi è il nemico.»
Belsnor rispose: «Non voglio che lo sappiano perché, come le ho spiegato, il loro morale è già abbastanza basso. Se sapessero che è colpa della Terra non riuscirebbero a sopravvivere; impazzirebbero, accidenti.»
«Lascio a lei la decisione,» disse Seth Morley. «L'abbiamo eletto capo del gruppo.» Ma il tono della sua voce dimostrava che lui non era d'accordo, e molto decisamente. Come già durante la notte.
«Mi dia tempo,» disse Belsnor, afferrando con le dita lunghe, esperte, il braccio di Seth. «Quando verrà il momento opportuno...»
«Non verrà mai,» disse Seth Morley, tirandosi indietro di un passo. «Moriranno senza sapere.»
Forse , pensò Belsnor, sarebbe meglio così. Meglio se tutti gli uomini, uno o l'altro non importa, dovessero morire senza sapere chi è stato, o perché.
Accoccolandosi per terra, Russell girò su se stesso il cadavere di Susie Smart; la guardò in viso e disse: «Era indubbiamente una bella ragazza.»
«Bella,» rispose duramente Belsnor, «ma stramba. Aveva impulsi sessuali iper-attivi; doveva dormire con ogni uomo che incontrava. Possiamo cavarcela senza di lei.»
«Bastardo,» disse Seth Morley, in tono feroce.
Belsnor levò le mani e chiese: «Cosa vuole che dica? Che non possiamo andare avanti senza di lei? Che è la fine?»
Morley non rispose.
Rivolgendosi a Maggie Walsh, Belsnor disse: «Recita una preghiera.» Era tempo del cerimoniale funebre, dei rituali così strettamente legati all'idea della morte che nemmeno lui poteva immaginare un decesso senza il contorno di rito.
«Datemi qualche minuto,» rispose fiocamente Maggie Walsh. «Io... adesso non riesco proprio a parlare.» Maggie si tirò indietro e gli voltò la schiena. Singhiozzava.
«La reciterò io,» disse Belsnor, con furia selvaggia.
Seth Morley disse: «Vorrei il permesso di effettuare un giro d'esplorazione all'esterno della colonia. Anche Russell vuole venire.»
«Perché?» chiese Belsnor.
Morley gli rispose con voce bassa, ferma: «Ho visto la versione in miniatura del Palazzo. Credo sia ora di affrontare quello vero.»
«Prenda qualcuno con sé,» disse Belsnor. «Qualcuno che conosca la strada, là fuori.»
«Andrò io con loro,» intervenne Betty Jo Berm.
«Dovrebbe esserci un altro uomo,» disse Belsnor. Ma,pensò, è uno sbaglio non restare uniti, la morte arriva quando uno di noi si trova solo. «Prenda Frazer e Thugg, tutti e due,» decise. «E anche Betty Jo.» Questo avrebbe mandato in pezzi il gruppo, ma né Bert Kosler né Roberta Rokingham avevano il fisico adatto a un viaggio del genere. Nessuno dei due aveva mai abbandonato la colonia. «Io resterò qui con gli altri,» aggiunse.
«Credo che dovremmo essere armati,» disse Wade Frazer.
«Nessuno riceverà armi,» ribatté Belsnor. «Siamo già in una situazione abbastanza brutta. Se vi do le armi vi ucciderete l'uno con l'altro, accidentalmente oppure intenzionalmente.» Non sapeva perché gli fosse venuta quell'idea, ma istintivamente capiva di essere nel giusto. Susie Smart,pensò. Forse ti ha uccisa uno di noi... uno che è l'agente della Terra e del generale Treaton.
Come nel mio sogno , pensò. Il nemico interno. Vecchiaia, deterioramento e morte. A dispetto dello schermo d'energia che circondava la colonia. È questo che il sogno cercava di dirmi.
Asciugandosi gli occhi arrossati. Maggie Walsh disse: «Mi piacerebbe andare con loro.»
«Perché?» chiese Belsnor. «Perché vogliono tutti abbandonare la colonia? Qui siamo più al sicuro.» Ma sapeva, capiva che stava dicendo una bugia, e la sua voce lo rivelò; udì il suono delle sue stesse menzogne. «D'accordo,» disse. «E buona fortuna.» A Seth Morley disse: «Cerchi di riportare qualcuna di quelle mosche che cantano. A meno che non trovi qualcosa di meglio.»
«Farò tutto quello che posso,» rispose Seth Morley. Girandosi, si allontanò da Belsnor. Quelli che uscivano con lui lo seguirono.
Non torneranno mai , disse Belsnor tra sé. Li guardò allontanarsi e, dentro di lui, il suo cuore rimbombò pesantemente, gli diede grandi colpi, come se il pendolo dell'orologio cosmico stesse oscillando avanti e indietro, avanti e indietro, nell'incavo del suo petto.
Il pendolo della morte.
I sette camminavano faticosamente lungo l'orlo di un basso crinale, attenti a ogni oggetto che vedevano. Parlavano molto poco.
Colline nebbiose, sconosciute, si alzavano dal terreno, scomparivano nel vento rabbioso. Licheni verdi crescevano dappertutto; il suolo era un tappeto di piante intrecciate. L'aria era piena dell'odore di innumerevoli forme di vita organica. Un odore ricco, complesso, qualcosa che nessuno di loro aveva mai sentito. In distanza si levavano grandi colonne di vapore, geyser o sorgenti di acqua bollente che uscivano dal sottosuolo fino alla superficie. Molto lontano s'intuiva anche un oceano, sospeso tra le fitte coltri di polvere e vapore.